“Le parole fanno più male delle botte.” Prendo come spunto l’ultimo pensiero scritto da Carolina Picchio, 14 anni, prima di gettarsi dal terrazzo di casa a Novara, nel 2013, dopo essere stata fatta ubriacare e molestata da un gruppo di coetanei che avevano poi diffuso tutto in rete.
I cinque ragazzini coinvolti hanno seguito dei percorsi di rieducazione e hanno ammesso le imputazioni a loro carico: violenza sessuale, diffusione di materiale pedopornografico e morte della coetanea. Carolina è stata la prima vittima acclarata di cyberbullismo in Italia. A lei è dedicata la prima legge italiana sul tema.
Ho deciso di raccontare questo episodio a tutti, ragazzi, genitori, insegnanti, educatori perché è necessario che si acquisisca una maggiore consapevolezza del mondo del web. I cellulari vengono dati in mano ai ragazzi quando sono troppo piccoli: li sanno usare, certo perché sono nativi digitali, ma non possono capire che hanno in realtà in mano un’arma che non sanno gestire. Servono delle regole e discernimento, perché nella fase della prima adolescenza e dell’adolescenza non si è ancora in grado di gestire emozioni quali la rabbia, la frustrazione, il senso di inadeguatezza e la paura dell’esclusione dal gruppo dei pari.
Nel 2021 il 70% dei ragazzi sono stati derisi e il 30% di questi ammette di non avere adulti di riferimento con cui parlare o di non essersi sentiti compresi quando si sono confidati. Bisogna capire che per molti non ottenere un “like”, essere esclusi da una “chat” è un dramma. Sempre nel 2021 sono stati 200.000 i ragazzi ricoverati per autolesionismo e 4.000 ragazzi tra i 14 e i 19 anni si sono tolti la vita (dati Istat) perché vittime di bullismo o di cyberbullismo.
Tale problema non è tanto di natura culturale, ma sociale. È compito di genitori e insegnanti educare, condurre fuori come suggerisce l’etimologia della parola, accompagnare questi giovani fragili verso una vita basata su valori etici alti, quali il rispetto, l’accettazione dell’altro e della sua alterità come dono e occasione per confrontarsi e crescere. È importante insegnare loro a relazionarsi in modo diretto, educarli ad una sana affettività che riscopra il valore di un sorriso e di un abbraccio non affidato a sterili “emoticons” e capire che dall’altro lato dello schermo c’è sempre un essere umano con le sue fragilità. Ma per far questo occorre soprattutto l’esempio: cosa imparerà un bambino che vede i propri genitori messaggiarsi in continuazione sui social scambiandosi molto spesso aspre invettive o pettegolezzi lesivi della reputazione o della privacy di qualche conoscente?
Il bullismo e il cyberbullismo sono quindi la conseguenza di comportamenti scorretti tenuti nella quotidianità: i social non sono strumenti, sono luoghi che abitiamo, che viviamo, proprio come in una “città virtuale” in cui però ogni azione e parola sono reali e perseguibili.
Da queste considerazioni è nata l’esigenza di redigere, insieme ai corsisti del Cpia 1 Bari sede “Melo”, un opuscolo utile a giovani e adulti per stimolarli a diventare più consapevoli delle proprie azioni e dei rischi di un uso sconsiderato del web e promuovere un impegno condiviso per rendere “la Rete un luogo accogliente e sicuro per tutti”, ricordando sempre che “Si è ciò che si comunica.” e che “le Parole hanno conseguenze.” (Art. 2 e 6 del “Manifesto della comunicazione non ostile.”)
Elisa Fiore e i corsisti del Cpia1 Bari, sede “Melo”. A.S. 2021-2022
in allegato all'articolo alcuni approfondimenti sul tema del bullismo, tradotti anche in lingua inglese e francese
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